ULTIMO PRINCIPE

ULTIMO PRINCIPE

La vicenda che l’opera L’ultimo Principe racconta è una storia vera, ma narrata come se fosse una fiaba. Corradino, l’ultimo della potente e temutissima dinastia degli Hohenstaufen, scende in Italia con un piccolo esercito per riconquistare il regno che fu del nonno, il grande Federico II. Arriva in una Roma abbandonata da tutte le autorità, dove viene incoronato quasi per scherzo. Procedendo nel suo viaggio di riconquista, trova a Tagliacozzo (nei pressi dell’Aquila) la sua nemesi, che porta il nome di Carlo d’Angiò. Il sovrano francese batte l’esercito del giovane principe. Corradino e il cugino Federico che lo accompagna fuggono, ma saranno ben presto catturati in Maremma e portati a Napoli, dove troveranno entrambi una morte ingiusta. Ancora oggi le anziane donne di Napoli piangono davanti alla tomba del fanciullo presso la Chiesa del Carmine di Napoli.

 La vicenda vera diventa dunque una fiaba; ma non solo per il modo in cui viene raccontata, con levità e giocosità sommati a una sottile melanconia che sono gli elementi tipici di questo genere di narrazione, ma anche perché le tappe del viaggio in Italia dei due ragazzi sono la perfetta raffigurazione in chiave simbolica del rito d’iniziazione che un fanciullo deve superare per entrare nella vita adulta e le fiabe (ci insegna Cristina Campo) raccontano proprio questo.

 Le nove scene che scandiscono questo viaggio al tempo stesso reale e iniziatico, sono segnate dalla giocosità stravagante dei molti personaggi che interagiscono spesso in maniera scherzosa con i due ragazzi che, stupefatti dalle tante novità che sperimentano, quasi non si accorgono di loro. Troveremo a cantare assieme a Corradino e Federico contadini spazientiti, marinai ironici, ubriachi molesti, cortigiani untuosi, minacciosi Messi papali...

I molti cori di voci bianche interpretano via via ragazze un po’ impertinenti, soldati infreddoliti che varcano le rupi ghiacciate e paurose delle Alpi, popolani che fanno festa e cantano inni al buon vino, uomini d’arme che combattono l’uno contro l’altro nella battaglia di Tagliacozzo... L’opera è immaginata come teatro di maschere e di marionette, ovvero come l’antico teatro dei pupi, dove tutto e tutti sono dipinti con tratti stilizzati e colorati e dove ogni realismo è bandito e sostituito dall’immaginazione.

La suggestione infantile è tuttavia venata di una sottile melanconia dei due protagonisti: raggiungendo l’età adulta Corradino e Federico conosceranno la morte. Nell’ultima scena il clima espressivo si fa drammatico: i due giovani sognano e si raccontano la loro triste fine; intanto un coro piangente intona un De profundis che sembra accompagnare nell’Ade gli sfortunati principi. L’accorato finale ricorda a tutti noi che non tutti i riti di passaggio hanno un esito positivo, non tutti terminano felicemente.

Carlo Galante

 

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